Pragmatica della comunicazione umana10 minuti

Il titolo completo di questo testo che ogni “comunicatore” farebbe bene a conoscere è Pragmatica della comunicazione umana, Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, scritto nel 1978 da Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson ma ancora tremendamente attuale e utile.

Il primissimo “contatto” stabilito tra me e questo testo è stato indubbiamente generato dalla forza evocativa della parola Pragmatica, affiancata a comunicazione umana. Proprio questa scelta così impegnativa, come titolo di un’opera, ma anche evidentemente per connotare il tipo di lavoro portato avanti dagli stessi autori, mi ha colpito dal primo istante. Ha fatto senz’altro scaturire in me l’idea di due possibili scenari: o uno così pedante, meticoloso e noioso, che nel giro di poche pagine mi sarei pentito di averlo tra le mani, oppure che avrei trovato un bel po’ di “pane per i miei denti”. Direi che tale dubbio è stato fugato fin dalle prime battute del testo.

Perché la comunicazione umana è anche una questione di pragmatica

Pur occupandomi di comunicazione (come copywriter) da ormai quasi trent’anni, alla fine di questa lettura la sensazione provata è stata come se gran parte delle riflessioni personali e dei testi finora da me consultati sull’argomento, avessero sempre toccato l’argomento più da una prospettiva di “analisi statica” del fenomeno.

Un po’ come se la lente di ingrandimento fosse stata sempre troppo ferma tra il soggetto A che comunica e il soggetto B destinatario della comunicazione. (Vi ricordate le classiche domandine: Chi comunica? Cosa comunica? Come comunica? Perché? In quale contesto? Ecc ecc..). Come se la comunicazione a sua volta rimandata da B ad A (e tutte le successive tra i due, nonché poi allargando lo sguardo al loro complessivo sistema di relazioni) non avesse poi la stessa (o ancor più) rilevanza!

Lui si defila, lei lo rimprovera (o viceversa)

L’esempio della coppia in cui “Lui si chiude in se stesso” e “Lei brontola” (suona familiare? :)) è paradigmatico di quanto sia difficile – ad esempio in una relazione – anche solo stabilire, in un flusso costante di azioni e comportamenti, “se è nato prima l’uovo o la gallina”. Gli autori ci mostrano come, al semplice cambiare della cosiddetta “punteggiatura” (ovvero dal punto esatto in cui si inizia a osservare un processo di comunicazione), sia A che B potrebbero tranquillamente dichiarare che il proprio comportamento sia causato da quello altrui e viceversa!

La passione per il comunicare

Questo appassionato lavoro, decisamente analitico, sulla comunicazione umana – da parte degli autori di questa Pragmatica – mi porta a comprendere in modo potente e attivante qualcosa di molto profondo sull’interazione umana. E cioè che non ci sarà mai una persona che, a prescindere dal nostro atteggiamento, anche se fosse il più neutrale possibile, potrebbe arrivare da noi e cominciare pian piano a comunicarci qualcosa come se ciò fosse “solo” frutto della sua interazione verso di noi e non (anche!) della nostra verso di lei.

Il miracolo della comunicazione

Al contrario, ciò che in ogni processo autentico ed efficace di comunicazione si compie, è piuttosto il “miracolo” che si realizza nell’interazione costante e consapevole tra svariati fattori comunicativi verbali e non verbali. Solo un “ascolto profondo” dello stesso potrà condurre ogni volta a un nuovo approdo, inizialmente ignoto a entrambi.

Per “costante” intendo anche relativamente a sguardi, gesti e movimenti più o meno percepibili che possono avvenire letteralmente in ogni momento da una parte e dall’altra!! Ecco quello che definirei in breve come pragmatica della comunicazione.

Sai…

Utilizzo un esempio pratico: se il mio interlocutore si limitasse a dire: “Sai…” e io subito mi attivassi nell’ascolto con uno sguardo allarmato, allora già questo basterebbe a cambiare – e anche di molto – la frase che potrebbe uscire dalla sua bocca. Al contrario, se il mio sguardo risultasse il più possibile sereno e attento, ma non in qualche modo “spaventato”, allora non starebbe già comunicando la possibilità di attendersi chissà quale drammatica rivelazione.

Proprio l’aspetto che pagina dopo pagina in Pragmatica della comunicazione umana mi ha impressionato e per il quale è una delle prime volte che ho avvertito il bisogno forte – appena arrivato in fondo al libro – di dover ricominciare la lettura dal principio, nella certezza di poterci trovare molto altro che potrebbe essermi sfuggito la prima volta, è questa “sana passione” con cui gli autori provano in tutti i modi a far allargare lo sguardo e presentare la:

  • circolarità (inevitabile),
  • complessità
  • e al tempo stesso multi-direzionalità della comunicazione.

Impossibile, in poche righe, poter passare in rassegna tutti i momenti nel testo che mi hanno davvero coinvolto ed emozionato. Mi limito a riprendere dei flash da alcuni esempi e situazioni in cui mi sono sentito particolarmente “attivato”.

Pragmatica della comunicazione e l’esempio dell’uomo in treno

L’individuo casualmente posizionato (in treno, in una sala d’attesa o in mille altre situazioni simili) davanti a un soggetto sconosciuto che, nel tentativo di NON avviare con lo stesso alcuna comunicazione, si trova invece a realizzare che ogni anche più impercettibile movimento, pensiero, sguardo e fino alla più banale risposta “evasiva” di circostanza, può – senza neanche rendersene conto – diventare immediatamente parte di una strategia di comportamento, oppure fonte di preoccupazione/agitazione per la paura di essere fraintesi o comunque giudicati.

E, tutto questo, solo per la semplicissima ragione che un essere umano non può non comunicare.

Mi viene da pensare e affermare, di conseguenza, che un essere umano “in buona salute” (fisica e mentale) deve necessariamente concedersi di essere un minimo empatico. La stessa riflessione sul fatto che tale privazione possa essere più che sufficiente a porre le basi per una condizione patologica, o comunque di “sofferenza”, mi ha dato molto da riflettere sulle innumerevoli situazioni in cui “per non perdere tempo in comunicazioni considerate inutili” si finisce per complicarsi ancor più la vita…

Osservare due giocatori di scacchi

Un’altra immagine che mi ha decisamente aiutato a entrare in grande empatia con gli autori è quella di chi si trovasse a osservare per lungo tempo due giocatori di scacchi e, senza conoscere il gioco (né parlare la stessa lingua dei due per farselo spiegare), guardando semplicemente una partita dopo l’altra per giorni e giorni, dal susseguirsi delle mosse e dal ripetersi di determinate situazioni (ridondanze), si fa man mano un’idea di come il gioco possa funzionare.

Ma, gli autori ci fanno notare, questa resterà un’idea del tutto soggettiva, soprattutto nelle possibili spiegazioni del perché di ogni mossa e sull’origine (oltre che persino sul nome!!) del gioco stesso.

Differenza tra comunicazione e metacomunicazione

Ugualmente, con più esempi simili, gli autori arrivano a introdurre la differenza che c’è tra la comunicazione e quella che definiscono metacomunicazione. La semplice osservazione dei giocatori di scacchi (= di chi comunica) permette ad esempio di cogliere l’alternanza delle mosse (= dei messaggi) fino a comprendere che ogni partita si conclude o con la cattura (scacco matto) del pezzo più importante (il Re avversario) o con l’abbandono da parte di uno dei due giocatori, ancor prima dello scacco matto.

Ma questa pur lunga e paziente esperienza di apprendimento “sul campo” pone il nostro osservatore in una condizione ancora totalmente lontana dalla reale e totale conoscenza del gioco (fuor di metafora: del fenomeno della comunicazione). Allo stesso modo la distanza tra comunicazione e metacomunicazione sta nell’effettiva possibilità di arrivare a comunicare “sulla comunicazione”, più o meno come se a un certo punto il nostro iniziale osservatore degli scacchi potesse confrontarsi – finalmente nella sua stessa lingua!! – con un vero e proprio maestro in grado di fargli cogliere ogni più piccola sfumatura e obiettivo del gioco (ovvero della comunicazione nella sua interezza e complessità).

Comunicazione analogica e numerica

Altrettanto illuminanti in Pragmatica della comunicazione umana sono i concetti (e i tanti esempi) di comunicazione analogica (cioè quella non verbale) e numerica, ovvero quella alla base del linguaggio umano e della serie praticamente infinita di codici e convenzioni verbali che, a seconda dei casi, possono arricchire ma anche creare inutili sovrastrutture che possono rivelarsi del tutto scollegate da una autentica comunicazione.

Per descrivere un effetto “prodigioso” che il sincero apprendimento (direi a livello profondo) di questo messaggio può aver avuto su di me, sempre più di frequente mi riscopro a parlare meno che in passato. Di conseguenza dedico un po’ più di attenzione alla comunicazione analogica rispetto che “soltanto” a quella numerica, ossia verbale. Conoscendomi, la ritengo una piccola/grande conquista sulla strada di una maggiore consapevolezza…

Necessità di “bonificare” la comunicazione

Mi accorgo sempre più che nell’interazione umana moderna sia necessario utilizzare le parole con grande cura, parsimonia e rispetto dell’altro, perché è sempre “dietro l’angolo” il rischio di sommergerlo o comunque che troppe parole possano solo finire per edificare una soffocante barriera all’altrui libertà e autenticità di comunicazione.

Il testo “Chi ha paura di Virginia Woolf” in Pragmatica della comunicazione umana

La creativa scelta di utilizzare il testo teatrale “Chi ha paura di Virginia Woolf” per affrontare il tema della comunicazione patologica mi ha altresì colpito, proprio per l’efficacissima dimostrazione di quanto la nostra (mia!) realtà quotidiana sia piena di giochi, tattiche, simmetrie e altre “diaboliche” strategie comunicative sempre lì in agguato, tutte potenzialmente distruttive.

È un po’ come se gli autori mi avessero aiutato a capire che non c’è bisogno di riportarmi un estratto reale dei dialoghi all’interno di una coppia reale (di persone “normali”) perché io possa solo allora “attivarmi” nel pensare che quelle dinamiche “reali” possano essere vissute anche da me.

Sta, in altre parole, solo alla mia “fattiva e collaborativa volontà” di comunicare (attimo per attimo) in modo sano e non patologico con il mio interlocutore il buon esito di qualunque comunicazione, di coppia, familiare, di lavoro o anche solo informale.

…Altrimenti è un attimo ritrovarsi a comunicare come se si fosse tra i “patologici” protagonisti di una pièce teatrale.

Comunicazione paradossale e teoria del doppio legame

Infine la seconda parte del volume dedicata alla comunicazione paradossale e alla teoria del doppio legame, benché più “operativa” sul fronte della psicoterapia vera e propria, mi ha enormemente affascinato e in più punti emozionato, perché sono ormai anni che sento di trovarmi più attivato e stimolato “in positivo” lì dove c’è dichiaratamente “qualcosa che non va”, più che in un contesto all’apparenza “sano e inappuntabile”.

Al riguardo mi ha particolarmente colpito il caso riportato nel testo della “povera” June, ragazza schizofrenica di 15 anni, nel quale è evidentissima la funzione della madre nel tenere bloccato “il sistema” e non accettare alcuna possibilità di cambiamento (compresa l’eventuale effettiva emancipazione della figlia) giustificandosi con la frase “non riconosco più la mia bambina” e addirittura giudicandola “malata” proprio nei rari momenti in cui la ragazza prova maggiormente a essere se stessa.

Solo un piccolo esempio di tutte le volte che la frettolosa esigenza di incasellare e controllare tutto e tutti attorno a sé può diventare una buonissima (e pericolosissima) premessa per creare un sistema patologico…

Chiudo sottolineando quanto, anche da genitore, questo libro mi sia stato d’enorme aiuto nel rivedere in modo decisamente più attento e molto meno superficiale ogni minimo aspetto della comunicazione con mio figlio. A volte basta solo pensare (senza neanche dirlo!!) che “forse lui/lei ha un problema” (e non magari che quel problema potrebbe essere mio e non suo…), perché a lui/lei potrebbe già arrivare, in modo non verbale (ma altrettanto percepibile) un messaggio del genere, con le dannose conseguenze che possiamo immaginare…

Lascio naturalmente aperta la sezione commenti, nel caso altri volessero condividere la propria esperienza con questo formidabile testo.

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